Speedtest di Ookla certifica l’effetto COVID-19: velocità di connessione a picco in Italia

 17 Marzo 2020

Ookla, famosa ai più per il suo speedtest per la verifica della propria connessione a Internet, sta monitorando le zone colpite dall’emergenza coronavirus, tra cui Italia e Lombardia e i risultati parlano chiaro

Lo stiamo sperimentando in molti in questo periodo di telelavoro forzato: le nostre connessioni sembrano essere diventate più lente. E ora arrivano i primi dati che certificano che non si tratta solo di un’impressione, ma che l’impatto dell’emergenza coronavirus anche sulla rete italiana c’è: la fotografia effettuata da Ookla, l’azienda meglio nota per il suo ubiquo Speedtest, parla chiaro.

I grafici mostrano l’andamento da fine dicembre 2019 alla scorsa settimana della velocità media della rete mobile e fissa (in alto) e della latenza (in basso), in Italia e nella sola Lombardia, la regione più colpita dall’epidemia. Dopo un leggero calo della velocità media, con un aumento contestuale della latenza, nella settimana del 24 febbraio, dopo l’entrata in vigore del decreto che estendeva le zone rosse e i primi richiami al telelavoro, si nota la decisa picchiata delle prestazioni della rete italiana, sia mobile che fissa, dopo il 2 marzo, quando sono entrate in vigore in tutta Italia le misure restrittive che hanno bloccato il paese.

La velocità media delle connessioni in Italia è scesa al di sotto dei 60 Mbit/s, toccando un nuovo minimo rispetto al congestionatissimo periodo dei giorni di Natale 2019. Se la cava meglio la Lombardia, ma solo perché parte da velocità mediamente più elevate, ma come si può vedere il tracollo è stato più significativo per le connessioni fisse, con un calo di quasi 10 Mbit/s in media. Praticamente allineato invece l’andamento delle connessioni mobili tra Lombardia e il resto dell’Italia nel loro calo di prestazioni.

Quello che questa fotografia non dice è che chi vive in una grande città coperta da fibra ottica fino all’unità immobiliare avrà notato magari un certo rallentamento ma non in grado di pregiudicare la propria operatività, ma chi abita appena fuori ed è ancora connesso solo via rame, magari con una linea ADSL da pochi megabit, sta probabilmente facendo fronte a problemi di connettività ben più seri.

Fonte: Digital Day

Israele, i servizi segreti arruolati per pedinare gli infettati dal Coronavirus: «E’ una guerra»

15 Marzo 2020

Il premier Netanyahu barrica il Paese. La geo-localizzazione per monitorare i contagiati. L’opposizione protesta: va rispettata la privacy dei cittadini

«E’ una guerra», proclama. E della guerra vuole usare gli strumenti «per combattere questo nemico invisibile». Quasi ogni sera all’ora della cena il premier Benjamin Netanyahu appare in diretta televisiva e comunica agli israeliani le ultime restrizioni per fermare la diffusione del Covid-19, fino a questo momento i casi sono 200: scuole, università, bar e ristoranti chiusi, proibiti i raggruppamenti di più di 10 persone, già nelle scorse settimane il governo aveva deciso di obbligare alla quarantena chiunque arrivasse dall’estero, la maggior parte dei voli sono stati cancellati. Come altri Paesi anche Israele si sta barricando per provare a rallentare la diffusione del virus.

Soprattutto Netanyahu vuole poter utilizzare i sistemi di sorveglianza tecnologica che lo Shin Bet, i servizi segreti interni, usano «nella guerra al terrorismo, è la nostra nuova sfida». In sostanza monitorare chi sia risultato positivo: con la geo-localizzazione è possibile individuare i luoghi dove queste persone sono passate e controllare che non violino il periodo di isolamento a casa. Il procuratore generale dello Stato ha dato l’approvazione alle misure speciali, mentre lo Shin Bet garantisce che non verrà violata la privacy e le informazioni non saranno sfruttare per imporre la quarantena. Dovrebbero servire a ricostruire la mappa degli spostamenti degli infettati.

Anche con queste limitazioni l’intervento dei servizi preoccupa deputati della sinistra come Nitzan Horowitz: «Pedinare i cittadini con questi mezzi sofisticati è una violazione dei diritti civili. E’ per questa ragione che queste tecniche sono proibite nelle nazioni democratiche».
Fonte: Il Corriere della Sera – Esteri

Istruzioni aggiuntive per smart working (lavoro da casa) al tempo del Coronavirus

A fronte della prevenzione e del contrasto alla diffusione del Coronavirus (Covid-19), nel rispetto delle recenti disposizioni sia nazionali che regionali, nonché per seguire i consigli degli esperti del settore sanitario, laddove possibile,  è stato raccomandato ai  datori  di  lavoro  pubblici  e  privati  di promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi  di  congedo ordinario e di ferie, e/o incentivare l’uso della tecnologia per favore il lavoro c.d. in modalità smart working (presso il domicilio).

Per regolamentare questa modalità operativa, lo Studio Paci ha predisposto delle istruzioni aggiuntive in materia di privacy da fornire ai dipendenti/collaboratori che in questo periodo garantiranno la continuità operativa seppur fuori sede.

Tali istruzioni, che integrano quelle già fornite ai soggetti autorizzati al trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 29 del Regolamento Europeo 2016/679, risultano necessarie in particolare laddove gli strumenti utilizzati dai dipendenti/collaboratori per il trattamento dati personali risultino di proprietà dei dipendenti/collaboratori medesimi.

Le istruzioni aggiuntive verranno fornite su richiesta inviando una mail all’indirizzo segreteria@consulenzepaci.it

Coronavirus, misurare la febbre ai dipendenti? Scoppia il caso privacy

10 Marzo 2020

C’è una questione giuridica che sta diventando dirimente. Perché impatta sulla salute dei lavoratori e sulla produttività delle aziende, interessa anche le possibili misure anticontagio da dover prendere quando si lavora in linea nella catena di montaggio seppur rispettando la distanza minima tra due persone contenuta nel decreto dell’8 marzo. Le attuali leggi sulla privacy non consentono ai datori di lavoro di misurare la febbre ai loro dipendenti con l’utilizzo degli scanner come avviene negli aeroporti. La differenza sostanziale tra i due contesti è che in fabbrica il dipendente ha un nome e un cognome e quindi non è un dato minimizzato e anonimo come lo è il passeggero che arriva in uno scalo. Le aziende di marca per questo stanno facendo un lavoro di sensibilizzazione perché hanno la priorità di garantire la sicurezza degli stabilimenti e quindi la continuità produttiva necessaria per l’approvvigionamento dei beni primari, come alimenti, detergenti casa e persona.

Immaginate che cosa può succedere se in un grande impianto industriale si verifichi solo un caso di contagio di coronavirus. Varrebbero le disposizioni sanitarie che valgono per tutti: rischio di chiusura dell’impianto per 14 giorni, quarantena per tutti i colleghi. L’authority della privacy, guidata da Antonello Soro, interrogata sostiene di aver comunicato le proprie linee guida il 2 marzo, precedenti però al blocco negli spostamenti esteso da oggi a tutta l’Italia. Il Garante ha spiegato che le misure di carattere sanitario, come la rilevazione della febbre dei dipendenti, vanno coordinate e gestite dagli enti preposti, come le autorità sanitarie e la protezione civile, le uniche al momento tenute a farlo ma stentiamo a credere che possano farlo ora in questo momento di emergenza.

Il lavoratore potrebbe sottoporsi alla rilevazione con i termoscanner soltanto su base volontaria, ma anche questo sarebbe da escludersi in ragione dello stato di soggezione dello stesso nei confronti del datore di lavoro, rilevano alcuni giuristi. Spiega l’avvocato Massimo Maggiore, che il Garante ha imposto alle aziende di astenersi dall’adozione di misure fai da te che comprendano la raccolta a priori e in modo sistematico e generalizzato di informazione sulla presenza di eventuali sintomi influenzali. Però Maggiore rileva come possa configurarsi in questo caso la presenza di un interesse pubblico superiore come prevede l’articolo 9 della normativa europea Gdpr per procedere al trattamento di dati sanitari. L’avvocato Daniele Vecchi, partner dello studio Gop, ritiene sia necessario un giusto bilanciamento fra i due interessi, ma crede che in questo caso possa far leva il decreto 81 del 2008 per la sicurezza sui luoghi di lavoro che permette al datore di lavoro, tramite il medico aziendale, di minimizzare i dati e al tempo stesso tutelare la sicurezza del lavoro e dei lavoratori.

Ha destato interesse il caso della multinazionale Abb che ha misurato la temperatura ai dipendenti degli stabilimenti di Sesto San Giovanni e Vittuone. Una misura che qualche giorno fa aveva inasprito il rapporto con il sindacato per il mancato confronto. “L’emergenza Coronavirus è iniziata il 23 febbraio. Nonostante le richieste di incontro non c’è stata la possibilità di fare un punto, neanche via Skype», lamenta Mirco Rota di Fiom Cgil. Con l’allargamento della zona arancione a tutta Italia Abb potrebbe estendere la misura agli stabilimenti di Frosinone e Pomezia. Anche nella sede di Marcegaglia di Ravenna dalla mattinata di martedì si entra dopo essere passati sotto lo scanner che misura la temperatura. Per gli 870 dipendenti la mensa è chiusa e vengono distribuiti pasti freddi. In questo caso la direttiva è stata votata e approvata dai lavoratori. Perché chi va al lavoro si sente più tutelato.

Fonte: Corriere della Sera – L’economia

Nuove modalità operative a fronte dell’emergenza Coronavirus

A seguito delle disposizioni attuative del DPCM dell’ 8 marzo 2020

Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19″

lo Studio Paci ha adottato modalità agili di lavoro al fine di salvaguardare la sicurezza dei propri dipendenti, collaboratori e clienti.

Sono garantiti tutti i servizi.

Per agevolare l’attività e ricevere risposte in tempi brevi Vi chiediamo di privilegiare le comunicazione tramite mail: segreteria@consulenzepaci.it – dpo@studiopaciecsrl.it

Vi ringraziamo per la collaborazione,
Gloriamaria Paci, Luca Di Leo

Disposizioni sul trattamento dei dati nel contesto emergenziale COVID-19 D.L. 9 marzo n.14

DECRETO-LEGGE 9 marzo 2020, n. 14
Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19. (20G00030) (GU Serie Generale n.62 del 09-03-2020)
Art. 14  Disposizioni sul trattamento dei dati personali nel contesto emergenziale
1. Fino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanita’ pubblica e, in particolare, per garantire la protezione dall’emergenza sanitaria a carattere transfrontaliero determinata dalla diffusione del COVID-19 mediante adeguate misure di profilassi, nonche’ per assicurare la diagnosi e l’assistenza sanitaria dei contagiati ovvero la gestione emergenziale del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere g), h) e i), e dell’articolo 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, nonche’ dell’articolo 2-sexies, comma 2, lettere t) e u), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i soggetti operanti nel Servizio nazionale di protezione civile, di cui agli
articoli 4 e 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, e i soggetti attuatori di cui all’articolo 1 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, nonche’ gli uffici del Ministero della salute e dell’Istituto Superiore di Sanita’, le strutture pubbliche e private che operano nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e i soggetti deputati a monitorare e a garantire l’esecuzione delle misure disposte ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, anche allo scopo di assicurare la piu’ efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, possono effettuare trattamenti, ivi inclusa la comunicazione tra loro, dei dati personali, anche relativi agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del COVID-19.
2. La comunicazione dei dati personali a soggetti pubblici e privati, diversi da quelli di cui al comma 1, nonche’ la diffusione dei dati personali diversi da quelli di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, e’ effettuata, nei casi in cui risulti indispensabile ai fini dello svolgimento delle attivita’ connesse alla gestione dell’emergenza sanitaria in atto.
3. I trattamenti di dati personali di cui ai commi 1 e 2 sono effettuati nel rispetto dei principi di cui all’articolo 5 del citato regolamento (UE) 2016/679, adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle liberta’ degli interessati.
4. Avuto riguardo alla necessita’ di contemperare le esigenze di gestione dell’emergenza sanitaria in atto con quella afferente alla salvaguardia della riservatezza degli interessati, i soggetti di cui al comma 1 possono conferire le autorizzazioni di cui all’articolo 2-quaterdecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, con modalita’ semplificate, anche oralmente.
5. Nel contesto emergenziale in atto, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del menzionato regolamento (UE) 2016/679, fermo restando quanto disposto dall’articolo 82 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i soggetti di cui al comma 1 possono omettere l’informativa di cui all’articolo 13 del medesimo regolamento o fornire una informativa semplificata, previa comunicazione orale agli interessati della limitazione.
6. Al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, i soggetti di cui al comma 1 adottano misure idonee a ricondurre i trattamenti di dati personali effettuati nel contesto dell’emergenza, all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali.

Link al Decreto Legge