Cybercrime, falsi aggiornamenti di Google Chrome scaricano malware
di Pierguido Iezzi
30 Marzo 2020
Il cybercrime usa falsi aggiornamenti di Google Chrome per distribuire malware: una backdoor
Un gruppo di ricercatori di cyber security di un laboratorio in Russia ha scoperto che migliaia di utenti sono stati ingannati e hanno scaricato una pericolosa backdoor, camuffata da aggiornamento di Google Chrome. Gli update e le patch sono stati oggetto di molte notizie la scorsa settimana, con Microsoft che ha confermato modifiche senza precedenti agli aggiornamenti di Windows 10, i quali hanno coinvolto quasi 1 miliardo di utenti. Lo scorso 19 marzo, di contro, Google aveva annunciato la sospensione di tutte le prossime uscite di Chrome, poiché l’impatto della pandemia del coronavirus aveva causato troppi ritardi nella delivery da parte dei suoi sviluppatori. Google ha anche deciso di “saltare” la prossima release, che doveva essere Chrome 82. Tuttavia, l’azienda ha confermato che “continuerà a dare priorità a tutti gli aggiornamenti relativi alla sicurezza”. Evidentemente, il cybercrime ha sfruttato l’occasione per diffondere malware.
Gli autori dell’operazione sono coinvolti anche nella diffusione di un falso installer dell’editor video VSDC
Il download stesso del falso aggiornamento di Google Chrome è stato collegato a più siti WordPress, compromessi dai Criminal Hacker. Quelle pagine, che includono tutto dai blog di notizie ai siti ufficiali delle aziende, sono state colpite con una storia di campagne di hacking di successo. Il gruppo del cybercrime dietro all’attacco, infatti, è stato precedentemente coinvolto nella diffusione di un falso installer del popolare editor video VSDC attraverso il suo sito ufficiale e la piattaforma software CNET. In questa occasione, ha ottenuto il controllo degli account amministratore di più siti per creare una catena di infezione. Una volta dentro, gli hacker malevoli hanno incorporato uno script di reindirizzamento JavaScript, che invia i visitatori direttamente a quella che sembra essere una legittima pagina di aggiornamento di Google Chrome. Questa, ovviamente, è tutt’altro che legittima e in realtà fa partire l’installazione del malware.
Gli esperti di cyber security: La backdoor è stata scaricata più di 2.000 volte. Attenzione, permette a chi la controlla di installare altri payload e il data-stealer Predator the Thief
La backdoor di Chrome, peraltro, secondo gli esperti di cyber security, è stata scaricata più di 2.000 volte. Una volta eseguito il file, viene installata un’applicazione di controllo remoto di TeamViewer insieme ad archivi protetti da password. Questi contengono file che il cybercrime utilizza per offuscare il malware dalla protezione antivirus di Windows. A questo punto possono essere installati anche altri payload malevoli, tra cui un keylogger e un sofisticato data-stealer. Chiamato Predator the Thief, è attivo da 18 mesi ed è noto per utilizzare tecniche anti-debugging e anti-analisi per sviare il rilevamento e l’analisi da parte dell’utente target. Finora le vittime sono state presi di mira sulla base di una combinazione di geolocalizzazione e rilevamento del browser. Includono persone negli USA, Canada, Israele, Australia, Turchia e UK.
Fonte: Difesa & Sicurezza
“Tracciamento contagi coronavirus, ecco i criteri da seguire” – Intervento di Antonello Soro – AgendaDigitale
29 Marzo 2020
“Tracciamento contagi coronavirus, ecco i criteri da seguire”
Non è vero che la privacy è il lusso che non possiamo permetterci in questo tempo difficile, perché essa consente tutto ciò che è ragionevole, opportuno e consigliabile fare per sconfiggere il coronavirus. La chiave è nella proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza dell’intervento. Oltre che nella sua temporaneità
Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(“Agenda Digitale”, 29 marzo 2020)
L’Italia, l’Europa, il mondo, stanno affrontando un’emergenza sanitaria senza precedenti per dimensioni, gravità, persino imprevedibilità degli esiti.
Un virus ignoto, che con il “salto di specie” si è trovato a percorrere il globo, portato dall’uomo da un lato all’altro del pianeta, ci ha messi di fronte alla nostra vulnerabilità, costringendoci in maniera tanto radicale quanto improvvisa a una vera e propria rivoluzione in abitudini, comportamenti, convinzioni e persino auto-percezioni.
Le doverose misure di distanziamento sociale hanno finito per ridisegnare tempi e spazi di vita che pensavamo graniticamente definiti e scanditi da abitudini e usi consolidati.
Con le sue straordinarie potenzialità, la tecnologia ci è venuta in soccorso annullando le distanze fisiche e ricreando, nello spazio digitale, luoghi di incontro, di confronto, di dialogo, persino di formazione, come per le classi virtuali.
L’esigenza di contenimento del contagio ha imposto, in ciascuno di noi, una tolleranza che forse mai avremmo immaginato di poter avere, rispetto a doverose ma significative rinunce e restrizioni di vari diritti e libertà. Sicuramente più evidenti sono apparse le misure limitative di diritti quali quelli alla libera circolazione, al lavoro, all’iniziativa economica e la stessa libertà personale, perché dall’impatto più tangibile sulle nostre abitudini e sui nostri stili di vita. Quella particolarissima componente della nostra società che è la popolazione detenuta, poi ha dovuto rinunciare alla maggior parte delle attività di risocializzazione in un contesto di grande preoccupazione per la stessa incolumità individuale.
L’impatto del coronavirus sulla privacy
Meno evidenti, ma non per questo irrilevanti, sono invece apparse le limitazioni della privacy che ciascuno di noi, in questo contesto, deve tollerare: dalla dichiarazione dei propri spostamenti ogniqualvolta se ne venga richiesti alle videoriprese di sé (e di quanti capitino nel raggio dell’occhio elettronico) nell’ambito delle riunioni o lezioni on-line, imposteci dall’esigenza di garantire il lavoro o la formazione a distanza.
Si tratta di limitazioni tra loro eterogenee e preordinate a fini diversi: nell’esempio, l’una volta a contenere gli spostamenti per evitare i contagi e l’altra tesa a consentire lo svolgimento, con modalità innovative, delle nostre attività quotidiane (il lavoro, la scuola, ecc.). Ma, in entrambi i casi, ad essere limitato è lo stesso diritto alla protezione dei dati personali, sancito come fondamentale diritto di libertà dalla Carta di Nizza, proprio perché presupposto di ogni altro diritto nella società digitale.
Nonostante la centralità della protezione dati nella vita individuale e collettiva, le sue limitazioni ci appaiono spesso meno percepibili di quelle relative ad altri diritti. Il dovere di giustificazione dei propri spostamenti ben può apparirci, in fondo, meno incisivo dell’obbligo di permanenza domiciliare. E assai meno tangibili possono sembrarci le implicazioni della geolocalizzazione dei nostri dispositivi mobili (una “protesi” della persona, come efficacemente li descrisse la Corte suprema americana) per realizzare quel contact tracing di cui tanto si parla in questi giorni.
Eppure, la mappatura costante dei nostri movimenti, delle persone con le quali, per le più varie ragioni, veniamo in contatto, non è una misura esattamente irrilevante per la nostra vita privata e per la nostra stessa percezione di libertà. Non lo è, a maggior ragione, un drone che sorveglia costantemente il cielo, benché- sarebbe bene precisarlo – dovrebbe limitarsi a segnalare ‘impersonali’ assembramenti e non riprendere scene di vita quotidiana.
E tuttavia, benché non desiderabili, anche le limitazioni del diritto alla protezione dati, se proporzionate e temporanee, rappresentano in questo momento il prezzo da pagare per tutelare l’incolumità di tutta la collettività e, in particolar modo, delle sue frange più vulnerabili. La vera difficoltà da affrontare è comprendere quale sia il grado di limitazione dei diritti strettamente necessario a garantire tale scopo, comprimendo le libertà quel tanto (e nulla più) che sia ritenuto indispensabile. Ma entro questo confine, nel doveroso e costante bilanciamento tra diritti contrapposti, si realizza la virtuosa sinergia tra le istanze personaliste e quelle solidariste che sono tra le più nobili radici della nostra Costituzione. Non esistono – come ha ricordato più volte la Consulta – diritti tiranni: essi vivono in equilibrio dinamico e duttile, capace di adeguarsi alle esigenze di volta in volta manifestate dalla realtà sociale.
La protezione dati, se possibile, ancora di più. E’, infatti, un diritto inquieto perché in costante dialettica con una tecnica mai eguale a se stessa, ma anche con i molteplici interessi, individuali e collettivi, che di volta in volta ne lambiscono i confini. Se, dunque, la sua funzione sociale è la forza più grande della protezione dati, mai come oggi essa si rivela indispensabile, rappresentando il punto di equilibrio tra libertà e tecnica, tra persona e società, il presupposto della tenuta della democrazia anche in circostanze eccezionali.
Non si dica, dunque, che la privacy è il lusso che non possiamo permetterci in questo tempo difficile, perché essa consente tutto ciò che è ragionevole, opportuno e consigliabile fare per sconfiggere questo male oscuro.
La protezione dati strumento anti-coronavirus
Non solo: la protezione dati può persino essere uno strumento utilissimo nell’azione di contrasto dell’epidemia, quando quest’azione sia fondata su dati e algoritmi, dei quali va garantita esattezza, qualità e revisione “umana”, ove necessario, come nel caso di decisioni automatizzate errate perché fondate su bias.
In questa prospettiva deve essere analizzata anche la proposta della geolocalizzazione dei soggetti positivi per meglio analizzare l’andamento epidemiologico o per ricostruire la catena dei contagi.
I criteri da seguire per la geolocalizzazione contagiati coronavirus
Molteplici essendo le modalità di attuazione di questa misura, i Governi dovrebbero anzitutto orientarsi secondo un criterio di gradualità e dunque valutare se le soluzioni meno invasive possano essere sufficienti a fini di prevenzione. In tal senso, non pone particolari problemi l’acquisizione di trend, effettivamente anonimi, di mobilità.
Laddove, invece, si intendesse acquisire dati identificativi, sarebbe necessaria una previsione normativa ad efficacia temporalmente limitata, dotata di adeguate garanzie e, soprattutto, conforme al principio di proporzionalità, che impone anzitutto un’analisi sullo scopo della raccolta dei dati.
Andrebbe effettuata, in questo senso, un’analisi preliminare dell’effettiva idoneità della soluzione scelta a conseguire risultati utili nell’azione di contrasto, in ordine proporzionale alle esigenze perseguite e sempre che misure meno invasive non debbano ritenersi idonee a conseguire i risultati sperati.
Così, la valutazione relativa alla geolocalizzazione quale strumento di ricostruzione della catena epidemiologica non può prescindere da un’analisi circa la fase, che dovrebbe ragionevolmente conseguirne, dell’accertamento sanitario dei soggetti così individuati quali potenziali contagiati. Si possono raccogliere, infatti, tutti i dati possibili sui potenziali portatori (sani o meno che siano), ma se poi per mille motivi non si hanno le risorse per accertarne l’effettiva positività, temo che non andremmo molto lontano.
Qualunque sia il progetto che si scelga di realizzare, è importante, però, considerare che nella complessa filiera in cui si articolerebbe il contact tracing, soggetti privati quali i gestori delle infrastrutture tecnologiche dovrebbero porre il patrimonio informativo di cui dispongono a disposizione dell’autorità pubblica.
A quest’ultima, invece, dovrebbe essere riservata la fase dell’analisi dei dati (e dell’eventuale reidentificazione), che per la sua maggiore rischiosità necessita delle garanzie e della responsabilità degli organi dello Stato. In ogni caso, le società coinvolte in questo progetto dovrebbero possedere idonei requisiti di affidabilità e trasparenza di azione.
Vanno studiate, dunque, modalità e ampiezza delle misure da adottare in vista della loro efficacia, gradualità e adeguatezza, senza preclusioni astratte o tantomeno ideologiche, ma anche senza improvvisazioni o velleitarie deleghe, alla sola tecnologia, di attività tanto necessarie quanto complesse.
In conclusione
Il nostro Paese, pur non nuovo a circostanze difficilissime, affronta in queste settimane la prova più difficile dal secondo dopoguerra. Ma l’esperienza passata -penso soprattutto agli anni di piombo – pur con tutte le sue differenze, conferma che, se gestita con “metodo democratico”, anche l’emergenza può risolversi in una parentesi destinata a lasciare inalterata- persino per certi versi più forte- la nostra democrazia.
La chiave è nella proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza dell’intervento, oltre che naturalmente nella sua temporaneità. Il rischio che dobbiamo esorcizzare è quello dello scivolamento inconsapevole dal modello coreano a quello cinese, scambiando la rinuncia a ogni libertà per l’efficienza e la delega cieca all’algoritmo per la soluzione salvifica. Così, una volta cessata quest’emergenza, avremo anche forse imparato a rapportarci alla tecnologia in modo meno fideistico e più efficace, mettendola davvero al servizio dell’uomo.
Fonte: Garante Privacy
Seminari formativi on line gratuiti: CORONAVIRUS E PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA I DIRITTI INDIVIDUALI E DELLA COLLETTIVITÀ E LE LIMITAZIONI A FRONTE DI UN INTERESSE COLLETTIVO
come anticipato, prosegue l’attività formativa proposta dall’Associazione protezione diritti e libertà privacy.
In attesa di poterci ritrovare fisicamente in occasione dei seminari formativi gratuiti, Vi invitiamo a partecipare ad una serie di seminari formativi gratuiti on line su tematiche di grande attualità.
Considerando che l’adozione di misure per contenere e mitigare la pandemia di COVID-19, comporta il trattamento di dati personali, l’Associazione protezione diritti e libertà privacy, con segreteria organizzativa dello Studio Paci, al fine di fornire un supporto nel chiarire come gestire correttamente gli adempimenti previsti dal Regolamento Europeo 2016/679 derivante dalle nuove modalità di lavoro, dalla promiscuità degli strumenti utilizzati dai dipendenti per garantire l’operatività, alla garanzia delle misure di sicurezza adottate per gestire i collegamenti e le videoconferenze, ecc, proponiamo alcuni seminari formativi gratuiti on line su tematiche di interesse generale su come gestire procedure, regolamenti e quanto deve essere messo in atto per garantire la protezione dei dati personali di tutti gli interessati, salvaguardando diritti e libertà degli stessi.
Ogni singolo seminario formativo, della durata di circa 40 minuti circa, vedrà la partecipazione di Gloriamaria Paci e Luca Di Leo nonché di professionisti specializzati nelle diverse discipline oggetto dei singoli seminari formativi on line.
Per poter partecipare ad ogni seminario formativo, è necessario registrarsi attraverso i link sotto riportati attraverso la piattaforma GoToWebinar:
Martedì 31 marzo (h.12-13)
Webinar – Smart Working e COVID-19, come gestire il rischio Cyber
Venerdì 3 aprile (h.11-12)
Webinar – Adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro
Lunedì 6 aprile (h.16-17)
Webinar – Adempimenti relativi al trattamento dati
Mercoledì 8 aprile (h.16-17)
Webinar – Adempimenti legali
Giovedì 9 aprile (h.11-12)
Webinar – Adempimenti in materia di lavoro
Si precisa che non è previsto alcun vincolo nel seguire tutti i seminari ma è possibile partecipare a quelli di interesse.
Si precisa che sarà possibile iscriversi ai seminari formativi fino alla data di svolgimento dei medesimi. Ricordiamo tuttavia che sono previsti un numero limitato di partecipanti quindi, se di interesse, è necessario iscriversi per tempo.
Covid-19 e privacy – Intervista ad Antonello Soro – RaiNews24 Studio24
Soro: “Sì al tracciamento dei contatti ma con un decreto temporaneo”
26 Marzo 2020
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Andrea Iannuzzi, “La Repubblica” – 26 marzo 2020)
Tra le strategie messe in campo dal governo per contenere il contagio da coronavirus c’è il cosiddetto contact tracing digitale, cioè l’uso dei dispositivi mobili dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette: il modello coreano. Ma come si assicura la tutela della privacy e dei dati personali? Il Garante della privacy Antonello Soro, con il suo team di esperti, è al lavoro per conciliare tutte le esigenze: “Non si tratta – dice a Repubblica – di sospendere la privacy, ma di adottare strumenti efficaci di contenimento del contagio, pur sempre nel rispetto dei diritti dei cittadini”.
C’è bisogno di uno strumento legislativo ad hoc per attuare questo protocollo? Quale?
“La disciplina di protezione dei dati coniuga esigenze di sanità pubblica e libertà individuale, con garanzie di correttezza e proporzionalità del trattamento. Ma una misura quale il contact tracing, che incide su un numero elevatissimo di persone, ha bisogno di una previsione normativa conforme a questi principi. Un decreto-legge potrebbe coniugare tempestività della misura e partecipazione parlamentare. Va da sé che la durata deve essere strettamente collegata al perdurare dell’emergenza”.
Come si evitano gli abusi nel trattamento dei dati? Come ci si difende da intrusioni malevole?
“La nostra disciplina offre gli strumenti per minimizzare il pericolo di abusi, secondo i principi di precauzione e prevenzione, che impongono misure di sicurezza e garanzie di protezione dati già nella fase di progettazione e impostazione della struttura tecnologica. Rispettando questi criteri, si può valorizzare al massimo grado l’innovazione”.
Si può immaginare uno scambio di dati criptato o anonimizzato?
“Lo scambio e, prima ancora, la raccolta dei dati devono avvenire nel modo meno invasivo possibile per gli interessati, privilegiando l’uso di dati pseudonimizzati (ove non addirittura anonimi), ricorrendo alla reidentificazione laddove vi sia tale necessità, ad esempio per contattare i soggetti potenzialmente contagiati. Nella complessa filiera in cui si articolerebbe il contact tracing, soggetti privati – a partire dalle grandi piattaforme – dovrebbero porre il patrimonio informativo di cui dispongono a disposizione dell’autorità pubblica, alla quale dovrebbe invece essere riservata la fase dell’analisi dei dati, che necessita delle garanzie e della responsabilità degli organi dello Stato. In ogni caso, le società coinvolte in questo progetto dovrebbero possedere requisiti di affidabilità e trasparenza di azione. Nella valutazione è fondamentale il vaglio di conformità ai requisiti di protezione dati, per la garanzia dei diritti degli interessati, per l’attendibilità dell’analisi dei dati e anche per la sicurezza nazionale. Non sottovaluterei l’odierno richiamo in proposito da parte del Copasir”.
Come si potrà poi tornare alla “normalità” una volta finita emergenza?
“La chiave è nella proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza degli interventi, oltre che nella loro temporaneità. Il rischio che dobbiamo esorcizzare è quello dello scivolamento inconsapevole dal modello coreano a quello cinese, scambiando per efficienza la rinuncia a ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo per la soluzione salvifica”.
Fonte: Garante Privacy
Il Garante della privacy: “Sì al tracciamento dei contatti, ma con un decreto legge temporaneo”
25 Marzo 2020
Il team di Antonello Soro sta studiando la strategia “coreana” del governo: contact tracing tramite app dei soggetti a rischio contagio. “Le società coinvolte devono rispondere ai nostri protocolli di sicurezza e garanzia sulla protezione dei dati. I privati gestirebbero dati con pseudonimi (o anonimi), lasciando allo Stato la re-identificazione in caso di necessità”
Tra le strategie messe in campo dal governo per contenere il contagio da coronavirus c’è il cosiddetto contact tracing digitale, cioè l’uso dei dispositivi mobili dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette. Si tratta di un protocollo previsto dall’Oms in caso di epidemie e che in modo analogico viene già effettuato anche in Italia
Fonte: Rep.Repubblica
Un attacco informatico sventato ai danni dell’OMS
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel bel mezzo dell’epidemia di coronavirus, ha dovuto fare i conti anche con un attacco informatico.
Più nel dettaglio l’azione è stata individuata il 13 marzo quando malintenzionati hanno messo online un portale che riproduceva in modo contraffatto il sistema interno per la gestione della posta elettronica utilizzato dai membri della World Health Organization. L’obiettivo era ovviamente quello di trarre in inganno membri dello staff e sottrarre loro le credenziali di accesso agli account, mettendo poi le mani su informazioni riservate. Riportiamo a tal proposito il commento di Max Heinemeyer, Director of Threat Hunting di Darktrace.
“Agli occhi di chi si occupa di sicurezza informatica l’attacco contro l’OMS non rappresenta una sorpresa. Nelle ultime tre settimane abbiamo assistito a una escalation negli attacchi che sfruttano l’emergenza sanitaria globale in corso. In particolare, osserviamo un aumento di quelli che abbiamo denominato attacchi “fearware”, ovvero email apparentemente benigne che fanno leva sulle notizie di attualità e sfruttano la paura collettiva a scopo criminoso.”
Addetti ai lavori, pur non confermandolo, ipotizzano che la responsabilità possa essere del gruppo DarkHotel attivo fin dal 2007 e già capace di prendere di mira istituzioni e governi di tutto il mondo. Prosegue Heinemeyer.
“L’OMS si trova nell’epicentro dell’emergenza e, anche se l’identità dell’hacker responsabile dell’attacco è tuttora sconosciuta, le informazioni sulla pandemia in possesso dell’organizzazione (come il virus si diffonde, come può essere contenuto e i progressi sui vaccini, ad esempio) sono elementi preziosi da conoscere per le agenzie di intelligence e i governi di tutto il mondo, che si stanno adoperando per affrontare la crisi.”
Restando in tema coronavirus, l’emergenza e l’attenzione rivolta al tema in queste settimane hanno innescato un moltiplicarsi di minacce come campagne di phishing e distribuzione di codice maligno. La raccomandazione, oggi più che mai, è sempre la stessa: massima attenzione.
Fonte: Puntoinformatico
L’Antitrust blocca siti truffaldini sul Coronavirus
Affossati due siti truffaldini in tema Coronavirus: uno vendeva una cura, un altro vendeva un macchinario per test casalinghi sul contagio.
Con una fondamentale attività di repressione delle truffe, di particolare importanza in questo momento di emergenza sanitaria, l’autorità antitrust ha portato al sequestro di due domini registrati con evidenti finalità truffaldine. Entrambi i tentativi sono chiaramente legati al contesto della lotta al Coronavirus, giocando sul momento di grave difficoltà che si sta vivendo in Italia e cercando di approfittarne sulla pelle delle persone meno attente e – probabilmente – più fragili.
Il primo intervento è relativo a sequestro del dominio farmacocoronavirus.it ed alla relativa chiusura del sito. Non serve aver visto i contenuti del sito per capire che si trattava di un tentativo del tutto truffaldino di giocare con le paure delle persone e con il posizionamento SEO del dominio.
Il sito focalizzava l’attenzione sul “farmaco generico Kaletra” (venduto al prezzo di 634,44 euro), paventando proprietà curative particolari e di miracolosa utilità per la cura della Covid-19:
“Più precisamente, i claim impiegati sembrerebbero suggerire che detto prodotto, contrariamente al vero, sia l’”unico farmaco contro il Coronavirus (COVID-19)” e l’”unico rimedio di combattere il Coronavirus (COVID-19)”. Inoltre, il complessivo contesto narrativo sembrerebbe far leva sulla tragica pandemia in atto per orientare i consumatori all’acquisto. Parimenti, il professionista sembrerebbe vantare, contrariamente al vero, di essere una farmacia online, legale al 100% e di avere un’esperienza ultradodecennale. A ciò si aggiungono l’omessa fornitura di informazioni precontrattuali in ordine all’identità del professionista e al suo indirizzo geografico e un’assai stringente limitazione dell’esercizio del diritto di recesso.”
Altro intervento soppressivo è relativo al sito che prometteva la fornitura di un dispositivo per il test casalingo del Coronavirus: in giorni nei quali si fa gran parlare della quantità di tamponi eseguiti ed eseguibili, anche questo sito è stato ritenuto fortemente ingannevole e di particolare pericolosità. Spiega l’Authority:
“Il prodotto in questione viene reclamizzato come un dispositivo medico diagnostico destinato ad essere utilizzato a domicilio, da parte di persone non esperte di test diagnostici, al fine di auto-diagnosticare in maniera rapida ed affidabile l’eventuale contagio da COVID-19. In realtà, le informazioni fornite dal professionista sull’efficacia del test, sulla sua destinazione di uso e sul suo carattere sperimentale appaiono ambigue, confuse e oscure.”
La gravità del momento autorizza procedure immediate da parte dell’AGCM, che promette nel nuovo bollettino di voler continuare a “monitorare il mercato concentrando la propria attenzione su operatori attivi nell’e-commerce che adottano comportamenti scorretti e ingannevoli“.
Fonte: Puntoinformatico