Audizione del Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro. Seguito dell’indagine conoscitiva sulle forme di violenza fra i minori e ai danni di bambini e adolescenti

8 luglio 2020

Ringrazio la Commissione per questo confronto su di un tema tra i più espressivi delle contraddizioni del nostro tempo.

Il contesto in cui gli abusi in danno di minori maturano e si amplificano – in una sorta di ostensione compiaciuta della violenza- è sempre più spesso la rete, che nella vita dei ragazzi ha un’incidenza determinante.

Per i nativi digitali soprattutto, infatti, essa rappresenta non uno dei tanti, possibili, mezzi di comunicazione ma piuttosto la dimensione, addirittura principale, della vita.

E le relazioni intessute on-line, la condivisione sui social di ogni più intimo frammento di vita, la percezione del mondo sempre più mediata dalla rete impongono nuove esigenze di tutela, a fronte dell’inadeguatezza delle categorie tradizionali del diritto a normare fenomeni in continua evoluzione, come le tecnologie che li plasmano.

Il cyberbullismo, le vessazioni esibite da ragazzi in danno di coetanei, il revenge porn, ma anche il più rigido conformismo e l’emarginazione di chiunque pensi o agisca diversamente dalla maggioranza, sono solo alcune delle implicazioni dell’uso distorsivo della rete: ancor più drammatiche perché coinvolgono minori.

Da veicolo di straordinarie opportunità di crescita ed emancipazione, il web rischia infatti, se vissuto in assenza della necessaria consapevolezza, di esporre a   pericoli sottostimati   ragazzi sempre più fragili, nello iato tra illusione di autonomia e introiezione di regole, esperienza della libertà ed esercizio di responsabilità.

Anche perché la rete è lo spazio dove oggi lasciamo più soli i minori: proprio coloro che nelle strade delle nostre città accompagniamo, con apprensione, passo passo, già molto prima hanno “navigato”, tanto “autonomi” quanto vulnerabili.

E la solitudine che concediamo ai nostri figli sul web non è la stessa cui consegnavamo i bambini di fronte alla tv: lì bastava selezionare i programmi; in rete non ci sono filtri adeguati e, soprattutto, esiste una continua interazione da cui i bambini andrebbero protetti.

Secondo una ricerca della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) presentata in occasione del Safer internet day, l’80% del campione dichiara di aver ricevuto dai genitori limitazioni solo in ordine al tempo di utilizzo dei dispositivi telematici, al carattere chiuso dei profili social, al divieto di accesso a siti porno, ma non regole di condotta più puntuali.

La ricerca riferisce, poi, che oltre il 50% dei ragazzi tra gli 11 e 17 anni avrebbe subito episodi di bullismo e tra chi utilizza quotidianamente il cellulare (85,8%), ben il 22,2% sarebbe stato vittima di cyberbullismo, oltre che di “trolling” da parte di coetanei, percepite come particolarmente umilianti.

La rete è, infatti, anche il luogo in cui, nell’illusione dell’anonimato, minori violano altri minori.

Dalla violenza carnale – agìta off-line e poi esibita on-line– all’hate speech; dalla “servitù volontaria” cui si espone la ragazza che si vende in rete, al cyberbullismo.

Proprio questo è, forse, l’aspetto più tragico dell’uso violento della rete: in cui cioè l’autore e la vittima partecipano della stessa fragilità e della stessa inconsapevolezza del “risvolto” reale e concretissimo di ogni nostra azione nel digitale.

Ed è l’espressione forse più paradigmatica dell’ambivalenza del digitale e dei suoi pericolosi fraintendimenti.

Il “bullo” si illude, infatti, di potersi celare dietro l’anonimato o comunque sottovaluta la portata di quello che fa, non avendo la percezione di come un click possa portare con sé la distruzione di una vita.

Pubblicare un insulto anche gravissimo in rete, o la ripresa di un’indegna violenza su un bambino malato è molto più facile: perché non si deve fare i conti con l’idea della “sanzione sociale” -prima ancora che giuridica-, con lo stigma cui invece esporrebbe quella condotta se commessa off-line, sotto gli occhi di tutti.

Non ci vuole audacia, sia pure la più bieca: il “passaggio all’azione” è molto più facile.

Purtroppo però le conseguenze sono ancora più devastanti, perché quella violenza resta lì tendenzialmente per sempre, alla portata di chiunque a qualsiasi latitudine: non ha fine, non dà mai tregua alla sua vittima perché è onnipresente.

Su questo alcune importanti tutele sono state introdotte con la legge sul cyberbullismo, che nella consapevolezza della complessità di questo fenomeno, non riducibile a pura questione penale, ha scelto di combinare prevenzione, responsabilizzazione (tanto dei minori quanto dei gestori dei social), tutela della vittima.

La principale misura riparativa consiste nella particolare procedura d’urgenza per la rimozione dei contenuti lesivi, con una prima istanza rivolta al gestore e, quindi, sottoposta al Garante in caso di inerzia, rigetto o impossibilità di identificazione del titolare.

E’ una tutela remediale innovativa ed efficace che, da un lato, evita ogni forma di ingerenza da parte del gestore nelle comunicazioni degli utenti, dall’altro lo responsabilizza nel caso in cui gli sia segnalata la presenza di contenuti illeciti in rete, come dimostra del resto l’adesione spontanea e in tempi celeri della maggior parte delle piattaforme.

E’ peraltro prossimo all’adozione il codice di coregolamentazione previsto dalla legge e alla cui redazione l’Autorità ha fornito un contributo rilevante.

Esso promuoverà un’ulteriore responsabilizzazione dei gestori dei social network e degli altri operatori internet, vincolandoli ai fini dell’adesione al rispetto di un livello significativo di garanzie e sensibilizzandoli rispetto all’esigenza di rimuovere contenuti illeciti presenti sulle loro piattaforme.

La tutela accordata dal Garante funge, poi, da garanzia di ultima istanza e anello di chiusura dell’intero sistema, in ragione del carattere particolarmente agile del procedimento, attivabile anche dallo stesso minore ultraquattordicenne senza particolari formalità, così da coniugare esigenze di celere definizione della controversia e doveroso rispetto del contraddittorio

Anche la procedura di ammonimento, modulata su quella dello stalking, è uno strumento particolarmente utile per spezzare la spirale di odio che alimenta questo fenomeno.

Rilevanti sono anche le misure previste dalla legge per l’educazione all’uso consapevole della rete, che se ben attuate potrebbero davvero agire sulle cause profonde, culturali e sociali del cyberbullismo.

Prime tra tutti la solitudine e l’immaturità digitale di ragazzi sempre più abbandonati senza strumenti davanti a uno schermo, inconsapevoli di come il post non sia la scritta sul banco: può restare in rete anche per sempre, visibile e “replicabile” da chiunque, con una potenzialità lesiva di cui i ragazzi devono avere coscienza.

Una reale educazione, etica e civica, al digitale è lo strumento indispensabile per consentire ai ragazzi di trarre dalla rete tutte le sue straordinarie risorse per essere consapevoli cittadini digitali, come sottolineano le Linee guida del Consiglio d’Europa sui diritti dei minori nell’ambiente digitale.

La dimensione immateriale è, infatti, quantomai reale e dietro ogni “profilo” c’è una persona in carne e ossa, con le sue fragilità e il suo diritto a non essere violata.

E’ questa la prima e più importante frontiera su cui tutti dobbiamo investire, con un’alleanza educativa che serva anche a noi adulti per riflettere sulla evoluzione virale del rancore che un certo uso della rete rischia di produrre.

Significativo, in tal senso, che il ddl S1690 – oltre ad estendere la disciplina del bullismo “on-line” a quello “off-line” – proponga l’introduzione di moduli formativi per l’educazione all’intelligenza emotiva, nonché ulteriori misure per la tutela della vittima e la rieducazione degli autori, proponendo percorsi personalizzati di assistenza per le prime e di accompagnamento rieducativo per i secondi, comprensivi eventualmente anche di interventi di mediazione.

Particolare attenzione dovrà essere prestata – in caso di approvazione del ddl – alla realizzazione sia dell’app offerta dal servizio emergenza infanzia 114 per l’assistenza delle vittime, sia alle piattaforme di formazione e monitoraggio del fenomeno, messe a disposizione delle scuole dal Ministero dell’istruzione.

Dal momento che entrambi questi sistemi coinvolgerebbero un flusso di dati delicatissimi, inerenti minori anche vittime di reato, è necessario delinearne l’architettura in modo da garantire la massima riservatezza delle informazioni trattate, per evitarne esfiltrazioni o accessi indebiti, suscettibili di determinare fenomeni di vittimizzazione secondaria da non sottovalutare.

Tutele importanti sono state del resto introdotte rispetto al fenomeno, non meno preoccupante, dell’abuso sessuale su minori e della mercificazione del corpo, spesso realizzato on line.

Si pensi al delitto di adescamento di minori (grooming), con la tipizzazione del contatto telematico quale modalità di realizzazione della condotta o del revenge porn: fenomeno in preoccupante ascesa.

Altrettanto importante è la previsione dell’aggravante relativa ai delitti di sfruttamento sessuale del minore, compiuti con l’uso  di  mezzi  atti  ad  impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche.

Tale norma intende contrastare la tendenza dei soggetti abusanti a occultare le tracce dei propri contatti illeciti: ciò che spiega il proliferare dell’adescamento in rete.

Tuttavia, anche ove non si ricorra a tali espedienti l’identificazione dell’autore effettivo dell’illecito (indispensabile ai fini dell’imputazione della relativa responsabilità, soprattutto se penale) non è sempre agevole, dovendo superarsi – talora con notevole difficoltà- lo schermo dell’anonimato in rete.

Istituto che va certamente salvaguardato in quanto funzionale, tra l’altro, alla libertà di espressione, ma di cui va impedito ogni abuso, soprattutto se si traduce in un’agevolazione alla commissione di reati in danno dei soggetti più fragili.

Si dovrebbe allora, forse, riflettere sulla regolazione dell’uso dell’anonimato sul web, rendendolo realmente reversibile così da consentire da parte degli organi inquirenti l’accertamento delle effettive responsabilità degli illeciti realizzati sotto questo schermo.

Di contro, indispensabile è il diritto, penalmente protetto, all’anonimato delle vittime di delitti contro la libertà sessuale e la personalità individuale, sulla cui violazione, anche da parte dei media, siamo intervenuti diverse volte, per contenere gli effetti della vittimizzazione secondaria suscettibile di derivarne.

L’efficacia di tali strumenti repressivi è, tuttavia, condizionata dalla velocità dell’evoluzione tecnologica, capace spesso di eludere i divieti legislativi e dai limiti imposti alla giurisdizione e alla stessa applicazione della legge dal principio di territorialità, trattandosi spesso di reati commessi all’estero e veicolati on-line.

Ma soprattutto, la tutela penale rispetto ai minorenni incontra i limiti (irrinunciabili e doverosi, sia chiaro) dell’inimputabilità (assoluta o relativa che sia), dei principi di minima offensività, destigmatizzazione, residualità della sanzione (in particolare se detentiva).

Ecco, quindi, che rispetto a tali ipotesi il combinato disposto di un’efficace tutela riparativa e di una tutela risarcitoria dal regime particolarmente favorevole alla vittima, ma anche fortemente deterrente, assume un rilievo determinante.

La disciplina di protezione dati fornisce, in questo senso, strumenti importanti.

Il diritto – esercitabile dinanzi al Garante o all’autorità giudiziaria, in caso di inerzia del gestore – di richiedere tra l’altro la cancellazione dei contenuti illecitamente diffusi rappresenta una misura particolarmente efficace.

Perché idonea a limitare il prima possibile la propagazione degli effetti pregiudizievoli di revenge porn, hate speech, diffamazione, ecc..

Ciò che tuttavia può svolgere, più di ogni altra misura o sanzione, una reale efficacia preventiva è un’adeguata educazione digitale, che colmi lo iato esistente tra l’utilizzo del web, da parte dei ragazzi, quale principale agenzia di socializzazione e la loro effettiva consapevolezza del modo in cui farne uso per promuovere, anziché violare, le libertà.

In tal senso è indispensabile investire sull’alfabetizzazione digitale quale vera e propria “educazione civica” al tempo della cittadinanza digitale.

E’ significativo che il  Regolamento individui nella fascia compresa tra i 13 e i 16 anni la soglia di età per il consenso digitale, con una parallela modulazione del principio di trasparenza del trattamento e una significativa  responsabilizzazione dei titolari. Essi, infatti, dovranno adeguare a un pubblico più giovane le informative fornite, per renderne realmente comprensibile la portata e consentire così anche ai minori di esercitare consapevolmente la propria autonomia decisionale.

La soglia del consenso digitale è stata fissata dal legislatore nazionale nei 14 anni, in analogia con la legge sul cyberbullismo, ma anche con altre disposizioni che a quell’età riconoscono una parziale capacità di agire (corrispondente a una presunzione di adeguata capacità di discernimento), disponendo di diritti “personalissimi” e come tali insuscettibili di rappresentanza.

Se tale scelta coglie un dato di realtà – perché i ragazzi, a quell’età se non prima, vivono nella dimensione digitale gran parte delle loro relazioni – essa presuppone anche, tuttavia, un’adeguata formazione per rendere il minore consapevole di cosa possa comportare il trattamento dei propri dati.

Altrimenti quel diritto all’autodeterminazione informativa che si consente ai ragazzi di esercitare in proprio, rischia di essere velleitario o, peggio, di risolversi in un pregiudizio per la loro stessa libertà, sicurezza, identità.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente, volto a richiedere l’assenso di entrambi i genitori per la diffusione di foto di minori, ritenuto atto esulante dall’ordinaria amministrazione, in ragione dei rischi che comporta, è in questo senso significativo.

E riconoscere al minore ultra14enne la facoltà di dire “la propria” in ordine alla gestione dei propri dati, anche rispetto all’uso che ne facciano i genitori, può rappresentare un importante fattore di responsabilizzazione.

Sarebbe  poi necessario rafforzare l’adozione, da parte dei fornitori, anche in sede di codici di condotta, di precauzioni utili a proteggere i minori (ad es. servizi di navigazione differenziata, accessi selettivi che inibiscono la consultazione di determinati contenuti classificati come inadatti ai minori1,..), purché naturalmente non presuppongano il controllo preventivo dei contenuti.

Naturalmente, non è lo strumento in quanto tale a dover essere condannato: la rete è teatro tanto di violenze e vessazioni, quanto di solidarietà e promozione della libertà.

Si pensi a Keaton, il piccolo paziente oncologico americano, umiliato off-line e protetto on-line.

La stessa rete che ha indotto più di un minore al suicidio, in quel caso ha salvato invece un bambino dalle vessazioni subite off-line.

La “neutralità” del web – intesa come suscettibilità ad usi lesivi o invece solidaristici- carica, dunque, gli utenti della responsabilità per la propria condotta on-line e fa carico agli adulti del delicato compito di rendere i minori consapevoli di quanto straordinaria, ma anche rischiosa, possa essere questa nuova – e mai abbastanza “esplorata”- dimensione della vita.

 

(1) Sulla falsariga delle misure inibitorie dell’accesso dall’Italia a siti pedopornografici compresi nella blacklist stilata dalla polizia postale.

Fonte: Garante Privacy

Due anni di Gdpr: il rapporto della Commissione europea

26 Giugno 2020

A poco più di due anni dalla sua piena applicazione, la Commissione europea ha pubblicato un rapporto di valutazione sul Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (Gdpr). Il rapporto mostra come il Gdpr abbia raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi, in particolare garantendo ai cittadini Ue un solido insieme di diritti e creando un nuovo sistema europeo di governance. Il Gdpr si è peraltro dimostrato flessibile nel supportare soluzioni digitali in circostanze impreviste come la crisi dovuta al Covid-19.

Il documento della Commissione evidenzia, inoltre, che l’armonizzazione delle legislazioni nazionali è aumentata grazie al Gdpr, sebbene permanga una certa frammentazione in alcuni ambiti (per esempio, in materia di bilanciamento fra libertà di espressione e protezione dati, o in materia sanitaria) che necessita di un monitoraggio costante. Anche fra le aziende si fa strada la cultura della “responsabilizzazione” e l’idea che le misure a protezione dei dati personali possano costituire un vantaggio competitivo.

La relazione propone anche un elenco di azioni che coinvolgono i diversi stakeholder (Commissione, Stati membri, Autorità di protezione dati, soggetti pubblici e privati) per facilitare ulteriormente l’applicazione del Gdpr con particolare riguardo alle piccole e medie imprese. Gli obiettivi finali indicati dalla Commissione sono quelli di ridurre la frammentazione normativa (gli Stati membri sono invitati a fare la loro parte al riguardo, e la Commissione intende vigilare con attenzione su questi aspetti), nonché di promuovere e sviluppare ulteriormente una cultura europea della protezione dei dati e l’applicazione rigorosa delle norme. Tutto ciò richiede il supporto interpretativo, e non solo, delle Autorità di protezione dati, ma anche una maggiore e più incisiva cooperazione fra le Autorità, che sono invitate a fare pienamente uso degli strumenti messi a loro disposizione dal Regolamento.

Questi, in sintesi, alcuni aspetti di particolare interesse emersi dal riesame del Regolamento Ue.

Secondo la Commissione, il Regolamento migliora la trasparenza e aumenta la consapevolezza dei diritti di cui godono le persone nell’Ue (diritto di accesso, rettifica, cancellazione, diritto di opposizione e diritto alla portabilità dei dati).  Le regole sulla protezione dei dati si sono dimostrate adeguate all’era digitale: il Gdpr ha promosso la partecipazione attiva e consapevole delle persone alla transizione digitale e favorisce un’innovazione affidabile: in particolare attraverso un approccio basato sul rischio e su principi come la protezione dei dati in base alla progettazione e per impostazione predefinita (privacy by design e privacy by default). Le Autorità per la protezione dei dati stanno utilizzando i più forti poteri correttivi previsti dal Gdpr, dagli avvertimenti e dagli ammonimenti fino alle sanzioni pecuniarie. Tuttavia, sottolinea la Commissione, esse devono essere adeguatamente supportate con le risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie. Se è vero che, complessivamente, tra il 2016 e il 2019 si è registrato un aumento del 42% del personale e del 49% del bilancio per tutte le Autorità nazionali per la privacy nell’Ue, permangono forti differenze tra gli Stati membri.

Vi sono, rileva la Commissione, margini di miglioramento per quanto riguarda il sistema di governance europea della protezione dei dati, in particolare rispetto al funzionamento del cosiddetto meccanismo di “sportello unico”, in base al quale una società che svolge trattamenti transfrontalieri di dati ha una sola Autorità di protezione dei dati come interlocutore, vale a dire l’Autorità dello Stato membro in cui ha sede il suo stabilimento principale. Tra il 25 maggio 2018 e il 31 dicembre 2019, 141 progetti di decisione relativi a reclami transfrontalieri sono stati presentati tramite lo “sportello unico”, 79 dei quali hanno portato a decisioni definitive. Su questi temi di governance sta lavorando anche l’Edpb (il Comitato europeo per la protezione dei dati formato da rappresentanti di tutti i Garanti europei) attraverso l’elaborazione di specifiche linee-guida che affrontano anche l’interpretazione e l’attuazione di aspetti chiave del Regolamento e temi emergenti.

Relativamente alla dimensione internazionale, la Commissione intende lavorare con l’Edpb alla modernizzazione di alcuni meccanismi in atto per i trasferimenti di dati personali al di fuori dell’Ue tra cui le clausole contrattuali standard, che risultano essere lo strumento più utilizzato dalle aziende ai fini di tali trasferimenti, anche alla luce degli sviluppi della giurisprudenza della Corte di giustizia. La Commissione evidenzia, infine, la necessità di proseguire nei negoziati internazionali per valutare l’adeguatezza alle norme europee dei Paesi extra-Ue e di esplorare l’impiego di strumenti quali accordi internazionali di mutua assistenza per rendere più efficace l’applicazione del Regolamento in questi ambiti.

Fonte: Garante Privacy

Soro: “Non sappiamo cosa fa la Cina con i dati di chi ha fra 10 e 15 anni”

Soro: “Non sappiamo cosa fa la Cina con i dati di chi ha fra 10 e 15 anni”
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(Di Jaime D’alessandro, La Repubblica, 5 giugno 2020)

“Sono tre anni che io sostengo: abbiamo un problema con la Cina. Nell’economia digitale l’asimmetria è semplicemente spaventosa”. Antonello Soro, garante italiano per la Privacy, parte dal bicchiere mezzo vuoto. La decisione del Comitato europeo perla Protezione dei Dati (Edpb) di dargli ascolto e istituire una commissione che indaghi sul social network cinese TikTok sembra un passo troppo timido. Con 800 milioni di utenti attivi, è il primo grande social network nato a Pechino a riuscire a fare breccia in Occidente. Il problema? Che non abbiamo idea di cosa accada ai dati raccolti. “TikTok ha avuto uno sviluppo molto veloce”, continua Soro. “Sono centinaia di milioni gli europei che la usano. Un pubblico prevalentemente di minori. Il mercato particolare dei giovanissimi li espone al pericolo di messaggi e contenuti poco adatti se non del tutto vietati. Ma essendo una azienda cinese abbiamo armi spuntate a disposizione”.

Cosa farà ora la task-force europea?

“Inizierà dalla raccolta di informazioni che, a mio parere, non potrà essere disgiunta da azioni per sanare l’asimmetria della quale dparlavo prima”.

Ci vorranno mesi. Non le sembra che le istituzioni siano un po’ lente?

“Forse. Le autorità europee che lavorano sul tema dei dati sono piccole e con compiti immani. Non è maturata la percezione di quanto il mondo digitale produca ricchezza e colossi che sono ormai più potenti degli Stati. E non è chiaro a tutti che le regole in quel frangente sono essenziali per far funzionare la società di oggi”.

In attesa che si arrivi ad un’azione concreta, se nel frattempo un adolescente venisse spinto a fare qualcosa di sgradevole?

“Si potrebbe intervenire, almeno qui da noi, se si trattasse di un cittadino europeo. L’approccio di TikTok è collaborativo”.

Ci sono stati casi del genere?

“Ci sono state segnalazioni come avviene per altri social network, nulla di più. Ma non abbiamo idea di cosa succede dietro le quinte. Con tutte quelle informazioni sui comportamenti di chi ha fra i 10 ai 15 anni si possono fare mille cose in un Paese come la Cina che non ha certo le nostre restrizioni. Si possono ad esempio creare algoritmi, profilare gli utenti, sapere esattamente cosa fanno. Li si può influenzare. Parliamo in più di una nazione che ha già un mercato intemo enorme dove si raccolgono informazioni su tutto e su tutti e le sue aziende sono permeabili al Governo. Un vantaggio strategico nell’economia digitale. Il mercato è lo stesso, ma si gioca con regole differenti”.

Il nuovo amministratore delegato di TikTok, Kevin Mayer, è americano.

“Ma l’azienda è di proprietà cinese. Non sarebbe un problema se avessimo con Pechino il medesimo accordo, il Privacy shield, che abbiamo con Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia fra gli altri. Impegna le aziende estere a rispettare certe regole quando si tratta di utenti europei. Con il Giappone è stato bloccato l’Ape, la più grande zona di libero scambio del mondo, finché non è stato sottoscritto il Privacy shield. Ma sarà difficile imporlo alla Cina”.

Perché?

“Uno dei punti cardine è che l’accesso delle agenzie governative ai dati sia fortemente limitato. È un tema molto più grande di TikTok. Bisogna evitare che la Cina sia una zona franca”.

Insomma, il bicchiere è ancora mezzo vuoto.

“Diciamo che la task-force è un primo passo. E da qualche parte bisognava pur iniziare”.

Fonte: Garante Privacy

Data breach: Il garante sanziona un istituto bancario

26 Giugno 2020

Data breach, sanzionato dal Garante un istituto bancario

Il Garante per la privacy ha ordinato ad un istituto bancario il pagamento di una sanzione di 600 mila euro al termine di una complessa istruttoria riguardante un data breach causato da accessi abusivi ai dati personali di oltre 700 mila clienti, tra aprile 2016 e luglio 2017. Era stata la banca stessa, a fine luglio 2017, a comunicare all’Autorità, la violazione subita.

Gli accessi abusivi, avvenuti in due momenti distinti, erano stati effettuati utilizzando le utenze di alcuni dipendenti di un partner commerciale esterno alla banca ed avevano riguardato una molteplicità di informazioni (dati anagrafici e di contatto, professione, livello di studio, estremi identificativi di un documento di riconoscimento e informazioni relative a datore di lavoro, salario, importo del prestito, stato del pagamento, “approssimazione della classificazione creditizia del cliente” e codice Iban).

L’attuale sanzione, determinata applicando la disciplina precedente l’entrata in vigore del Gdpr, segue la contestazione di violazioni amministrative notificata alla banca nel maggio 2019, originata a sua volta da un provvedimento adottato dall’Autorità nel marzo 2019 con il quale il Garante aveva accertato la violazione, da parte dell’istituto bancario, delle misure minime di sicurezza previste dal Codice privacy e il mancato rispetto delle regole fissate dalla stessa Autorità nel provvedimento n. 192 del 12 maggio 2011 in materia di tracciamento delle operazioni bancarie.

Il Garante quindi, considerati i rilevanti profili di illiceità del trattamento determinati dalla mancata adozione di misure tecniche e organizzative adeguate e valutate le argomentazioni addotte dalla banca, ha ritenuto necessario l’applicazione della sanzione al fine di salvaguardare i diritti e le libertà delle persone coinvolte, a prescindere dalla notificazione della violazione di dati personali effettuata dalla banca. Nel determinare l’ammontare dell’importo in 600mila euro, l’Autorità ha tenuto conto di diversi elementi, tra i quali il fatto che le violazioni sono state commesse nei confronti di un rilevante numero di persone e che la banca – che non ha subito precedenti provvedimenti sanzionatori del Garante – a seguito del data breach ha adottato diverse misure e iniziative volte a rafforzare la sicurezza dei propri sistemi informatici.

Fonte: Garante Privacy

Relazione annuale 2019, discorso del Presidente e sintesi per la stampa

Roma, 23 Giugno 2020

RELAZIONE SULL’ ATTIVITA’ 2019

Sintesi per la stampa

L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, composta da Antonello Soro, Augusta Iannini, Giovanna Bianchi Clerici, Licia Califano, presenta oggi la Relazione sull’attività svolta nel 2019.

La Relazione illustra i diversi fronti sui quali è stato impegnato il Collegio dell’Autorità nel corso dell’anno di proroga del suo mandato, caratterizzato in questi ultimi mesi dall’impatto determinato dall’emergenza sanitaria legata al Covid-19 su tutti i settori della vita nazionale. La necessità di assicurare un corretto trattamento dei dati – in particolare di quelli sulla salute – e il rispetto dei diritti delle persone, ha visto l’Autorità impegnata nel fornire pareri e indicare misure di garanzia riguardo alla app “Immuni”; all’effettuazione dei test sierologici; alla raccolta dei dati sanitari di dipendenti e clienti; alla ricetta elettronica; alla sperimentazione clinica e alla ricerca medica; all’attivazione dei sistemi di didattica a distanza; al processo penale e amministrativo da remoto.

Il 2019 ha peraltro rappresentato per l’Autorità un anno particolarmente impegnativo ai fini del progressivo adeguamento al Regolamento Ue da parte dei soggetti pubblici e privati per i quali sono oggi previste nuove responsabilità.

Gli interventi più rilevanti

Il 2019 ha visto una serie di interventi centrati innanzitutto sulle rilevanti novità introdotte dal Regolamento Ue e sulle grandi questioni legate alla tutela dei diritti fondamentali delle persone nel mondo digitale: in particolare, le implicazioni etiche della tecnologia; l’economia fondata sui dati; le grandi piattaforme; i big data; l’intelligenza artificiale e le problematiche poste dagli algoritmi; la sicurezza dei sistemi e la protezione dello spazio cibernetico; la pervasività delle diverse forme di controllo e sorveglianza; il ricorso sempre più diffuso ai dati biometrici; la monetizzazione delle informazioni personali; le fake news; l’Internet delle cose; il revenge porn.

Sul fronte delle violazioni dei dati on line e sui rischi di profilazioni occulte l’anno trascorso ha registrato la sanzione di 1 milione di euro applicata a Facebook per le violazioni emerse nell’ambito dell’istruttoria relativa all’ormai nota vicenda “Cambridge Analytica”, che ha interessato anche cittadini italiani.

Riguardo ai pericoli posti da Tik Tok, il social network cinese che consente di creare e condividere audio, video e immagini, usato da milioni di utenti, in gran parte giovanissimi, il Garante ha chiesto e ottenuto la costituzione di una specifica task force  nell’ambito del Comitato europeo che riunisce tutte le Autorità privacy dell’Unione (Edpb).

Sul fronte cybersecurity e sulla scarsa attenzione alle misure di sicurezza da parte di pubbliche amministrazioni, imprese e piattaforme on line, l’Autorità ha proseguito l’attività di vigilanza e intervento, anche a seguito di casi di particolare gravità.

Significativo a questo proposito il numero dei data breach notificati nel 2019 al Garante da parte di soggetti pubblici e privati: 1443.

L’Autorità ha prescritto ad una società che offre servizi di posta elettronica certificata di adottare rigorose misure per la messa in sicurezza del proprio servizio pec e di sanare le vulnerabilità emerse durante un accertamento ispettivo.

Sempre nel 2019, il Garante ha inoltre dato una serie di puntuali prescrizioni per la messa in sicurezza di una piattaforma di partecipazione politica.

In ordine ai trattamenti di dati per fini di sicurezza nazionale e alle garanzie da assicurare ai cittadini, è stata rafforzata la cooperazione con l’intelligence con il nuovo protocollo d’intenti sulla sicurezza cibernetica firmato con il Dis.

E’ proseguito il lavoro svolto per assicurare la protezione dei dati on line, in particolare riguardo ai possibili rischi connessi all’uso degli assistenti digitali, installati sui nostri smartphone o presenti nelle nostre case. Per contrastare il fenomeno del cyberbullismo è stato stipulato un protocollo d’intesa con alcuni Co.Re.Com. con l’obiettivo di rafforzare il sistema di tutele e attivare una rete di intervento tempestiva e coordinata a protezione delle giovani vittime.

Il Garante ha inoltre fornito indicazioni su come difendersi dai software dannosi, in particolare dai ransomware, i programmi informatici che prendono “in ostaggio” un dispositivo elettronico (pc, tablet, smartphone, smart tv per poi chiedere un riscatto (ransom, in inglese) per “liberarlo”. Una minaccia, questa, particolarmente pericolosa nell’epoca del Covid-19 che ha portato molte più persone e per molto più tempo ad essere connesse online.

Nel 2019 si è rafforzata ulteriormente l’attività a tutela del diritto all’oblio e si è sviluppato il confronto in ambito internazionale riguardo ad una sua protezione al di là dei confini europei.

Nel mondo del lavoro il Garante ha definito le garanzie per la raccolta delle impronte digitali dei dipendenti pubblici a fini di lotta all’assenteismo e ha fissato le regole per l’uso delle nuove tecnologie, con particolare riguardo al controllo dei lavoratori e alla gestione della posta elettronica.

Nel settore della giustizia l’Autorità ha proposto misure per assicurare maggiori garanzie nell’uso dei captatori informatici (trojan) a fini investigativi e ha segnalato al Ministro della Giustizia la necessità di una riforma organica per questi strumenti di indagine particolarmente invasivi, anche per limitare i gravi rischi di un loro uso distorsivo emersi da ultimo nel caso “Exodus”.

Nel settore della sanità il Garante è intervenuto a dare chiarimenti  a cittadini, medici, asl e soggetti privati, sulle novità introdotte dal Regolamento Ue e dalla normativa nazionale.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il Garante ha richiamato le amministrazioni a rispettare canoni di proporzionalità e a contemperare obblighi di pubblicità degli atti e dignità delle persone.  Ha fissato precise regole per l’esercizio del diritto di accesso civico e ha chiesto più tutele per chi denuncia illeciti con lo strumento del “whistleblowing”. Per il nuovo censimento permanente l’Autorità ha chiesto garanzie per rafforzare la tutela dell’ingente mole di informazioni raccolte, in particolare migliorando le tecniche di pseudonimizzazione dei dati.

Per quanto riguarda il sistema della fiscalità, il Garante ha chiesto tutele per evitare trattamenti sproporzionati dei dati personali dei contribuenti e misure di sicurezza per l’accesso all’archivio dei rapporti finanziari per l’Isee precompilato. Per il sistema di fatturazione elettronica l’Autorità ha ribadito la necessità di garantire la proporzionalità e la selettività nella memorizzazione dei dati dei contribuenti. Sono state fissate inoltre le garanzie per i processi automatizzati ai fini della lotta all’evasione fiscale e sono state stabilite le regole per l’avvio della cosiddetta “lotteria degli scontrini”.

In ambito welfare l’Autorità ha chiesto di rendere conforme il meccanismo di riconoscimento, erogazione e gestione del reddito di cittadinanza alla normativa europea, evitando il monitoraggio troppo invasivo sulle scelte di consumo individuali e assicurando la selettività degli accesi a informazioni relative a fasce deboli della popolazione.

Sul fronte della tutela dei consumatori il Garante è intervenuto contro il telemarketing aggressivo con l’applicazione di pesanti sanzioni (una di 27,8 milioni di euro e un’altra di 11,5 milioni di euro) ad operatori che hanno utilizzato i dati degli abbonati senza il loro consenso. Sono state varate nuove regole a tutela dei consumatori censiti nei sistemi di informazione creditizia, per rispondere alle sfide della digital economy e imporre trasparenza sul funzionamento degli algoritmi.

Un capitolo importante ha riguardato il rapporto tra privacy e diritto di cronaca. Il Garante è intervenuto più volte per stigmatizzare gli eccessi di morbosità che caratterizzano un certo modo di fare informazione e per assicurare le opportune tutele innanzitutto nei confronti delle vittime di abusi sessuali, specie se minori.

Il 2019 ha visto, infine, il Garante costantemente impegnato nell’azione di supporto a imprese e pubbliche amministrazioni con una intensa attività di formazione, anche attraverso progetti di cooperazione internazionale (T4Data e Smedata), ai fini di una corretta ed effettiva applicazione del Regolamento Ue, anche riguardo alla nuova figura del Responsabile della protezione dei dati

Le cifre

Nel 2019 sono stati adottati 232 provvedimenti collegiali.
L’Autorità ha fornito riscontro a oltre 8.000 reclami e segnalazioni riguardanti, tra l’altro il marketing telefonico; la sanità; il credito al consumo; la sicurezza informatica; il settore bancario e finanziario; il lavoro; gli enti locali.

pareri resi dal Collegio su atti regolamentari e amministrativi sono stati 46 ed hanno riguardato l’attività di polizia e sicurezza nazionale; il casellario giudiziale; la digitalizzazione della Pa; le misure contro l’assenteismo e la raccolta delle impronte digitali dei dipendenti pubblici; il testamento biologico; il reddito di cittadinanza; la riforma del Registro pubblico delle opposizioni; il “bonus cultura”; il “whistleblowing”; l’istruzione; la procreazione assistita.

33 sono stati i pareri resi ai sensi della normativa sulla trasparenza.

Le comunicazioni di notizie di reato all’autorità giudiziaria sono state 9 e hanno riguardato l’inosservanza dei provvedimenti del Garante, la falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante e un caso di accesso abusivo ad un sistema informativo e telematico.    Le ordinanze-ingiunzione sono state 36.

Le ispezioni effettuate nel 2019 sono state 147. Gli accertamenti, svolti anche con il contributo del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza, hanno riguardato numerosi settori, sia nell´ambito pubblico che privato. Per quanto riguarda il settore privato le ispezioni si sono rivolte principalmente ai trattamenti effettuati da società di intermediazione finanziaria; da istituti bancari (con particolare riferimento ai flussi di dati verso l’anagrafe dei conti correnti); da società che svolgono attività di marketing e fidelizzazione (anche con riferimento alla profilazione dei clienti). Per quanto riguarda il settore pubblico l´attività di verifica si è concentrata sul Sistema statistico nazionale (Sistan), sullo Spid, sui software per la gestione del “whistleblowing” e sulle banche dati di rilevanti dimensioni.

Per quanto riguarda l’attività di relazione con il pubblico si è dato riscontro a oltre 15.800 quesiti, che hanno riguardato, in maniera preponderante, gli adempimenti connessi all’applicazione del Regolamento Ue, seguiti dalle questioni legate alle telefonate, mail, fax e sms promozionali indesiderati; a Internet; al rapporto di lavoro pubblico e privato; alla videosorveglianza; alle centrali rischi private; ai dati bancari.

L’attività internazionale

Non meno rilevante e intensa l’attività del Garante a livello internazionale, con 137 riunioni, ed è stata caratterizzata soprattutto dall’azione di supporto all’ applicazione del Regolamento in materia di protezione dei dati.
Nell’ambito del Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), che riunisce le autorità di protezione dati dell’Ue, il Garante ha contribuito all’adozione di numerose linee-guida e pareri su tematiche complesse: i codici di condotta; i principi di privacy by design e by default; i contratti online; la videosorveglianza; i trasferimenti di dati verso Paesi extra-Ue basati su norme vincolanti d’impresa (BCR). Il Garante partecipa, inoltre, ai meccanismi di cooperazione (“sportello unico”) e coerenza previsti dal Regolamento Ue, attraverso scambi quotidiani di informazioni e documentazione (in particolare concernenti decisioni su reclami transfrontalieri) sul sistema IMI utilizzato a tale scopo. Importante anche il lavoro svolto sull’interazione tra Regolamento europeo e Direttiva relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva e-Privacy)

Da sottolineare anche l’attività del Garante italiano per il Consiglio d’Europa, che – attraverso l’apposito Comitato incaricato di seguire le questioni di protezione dati presieduto da una rappresentante del Garante italiano – ha proseguito il lavoro di follow up del Protocollo emendativo della Convenzione 108 che ha dato vita alla cosiddetta “Convenzione 108+”. Il Comitato consultivo della Convenzione 108 ha inoltre adottato le Linee guida in materia di intelligenza artificiale e il Parere relativo alla bozza di secondo protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest sul cybercrime. E’ stata infine adottata dal Comitato dei ministri la Raccomandazione sulla protezione dei dati relativi alla salute.

Significativo anche il contributo dato in seno all’OCSE, in particolare riguardo alla sicurezza e alla tutela della privacy nell’economia digitale alla protezione dei minori on line. Si è intensificata anche la collaborazione nell’ambito di gruppi internazionali (quali la Global Privacy Enforcement Network, GPEN), che promuovono interventi congiunti e mirati di verifica del rispetto della normativa in materia di protezione dei dati.Da segnalare anche il lavoro svolto in rapporto alle attività di controllo sull’applicazione nazionale dei regolamenti Ue concernenti il sistema Schengen, Europol (Ufficio europeo di polizia) e VIS (Sistema dei visti).

Il testo della Relazione annuale 2019

Discorso del Presidente Antonello Soro

Roma, 23 giugno 2020

Fonte: Garante Privacy

Seminario Formativo Gratuito Online – Venerdì 26 Giugno 2020

Venerdì  26 Giugno 2020 – ore 09.30/12.00

L’emergenza sanitaria rappresenta  una sfida per le Pubbliche Amministrazioni che dovranno mettere a regime e rendere sistematiche le misure adottate nella fase emergenziale al fine di rendere il lavoro agile lo strumento primario nell’ottica del potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

Una rivoluzione che comporterà una riorganizzazione non solo nella gestione del lavoro ma anche nell’implementazione di programmi di investimento nelle tecnologie informatiche, nello sviluppo delle competenze attraverso attività formative. Il tutto al fine di garantire servizi pubblici sempre più efficienti da assicurare alla collettività.

I relatori, al fine di supportare i referenti della P.A. a gestire i trattamenti dati e le attività da porre in essere per individuare gli aspetti organizzativi da migliorare, forniranno suggerimenti e documentazione utile da poter utilizzare per raggiungere questo ambito traguardo.

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